Via Tasso, il dipinto di Vinciguerra per ricordare i partigiani

Via Tasso il dipinto di Vinciguerra per il 25 aprile

Stamani, durante la cerimonia del 25 aprile in Piazza del Municipio é stata presenta l’opera del maestro Antonio Vinciguerra dedicata a Via Tasso.
È per me un grande onore presentare l’opera del maestro e amico Antonio Vinciguerra in questa occasione così importante.


I fatti di Via Tasso di cui parla sono noti ai più, ma vale la pena ricordarli.
Via Tasso è un’elegante via della Capitale non distante dalla splendida Basilica Papale di San Giovanni in Laterano, dedicata al noto letterato, ma purtroppo nota come “l’inferno di via Tasso” per la funzione che assolse durante i mesi dell’occupazione nazifascista di Roma (10 settembre 1943 – 4 giugno 1944).
Infatti, l’edificio, che prima era stato istituto di cultura tedesca e ambasciata, divenne sede in quei mesi del Comando del Servizio di Sicurezza delle SS, sotto la guida del colonnello Herbert Kappler.
Al numero civico 155 fu organizzata la caserma e gli uffici delle SS, da dove tante brutali scelte vennero prese per tentare di stroncare la Resistenza e gli oppositori. Mentre al civico 145, l’edificio fu trasformato in una “casa-prigione“, i cui spazi vennero adattati a luoghi di reclusione, tortura e morte, in modo pratico e sbrigativo. Furono infatti rimossi gli arredi mobili; le camere, le cucine e i ripostigli furono semplicemente convertiti in celle murando dall’interno le finestre e applicando una grata in ferro, mentre le forniture elettriche furono interrotte. Le condizioni dei reclusi erano terribili, non solo per le situazioni igieniche ma anche per i vessamenti a cui i reclusi erano continuamente sottoposti.
Nelle stanze di Via Tasso passarono numerosi prigionieri, di cui una gran parte trovò la morte, e alcuni di questi lasciarono nei luoghi di prigionia dei graffiti, che i tedeschi in ritirata non fecero in tempo a cancellare.
Tra questi troviamo quelli di Arrigo Paladini, noto docente e partigiano, allievo del professore antifascista Pilo Albertelli morto nel massacro delle fosse Ardeatine.


Paladini dopo aver combattuto in Abruzzo, decise di tornare a Roma dove nel maggio del 1944 fu arrestato dalla Gestapo.
Nella sua cella lasciò alcune suggestive testimonianze: la sua firma, un calendario dove segnava i giorni di segregazione intervallati dalla scritta “botte”, quando era sottoposto alle periodiche torture, e la scritta “condannato a morte”: era infatti questo il destino che gli era stato annunciato dai carcerieri.
Ma Paladini in via Tasso lasciò anche una sorta di testamento spirituale:

Lascio la vita quando più il futuro mi sorride alla vigilia del giorno più bello. Nessun rimpianto. La certezza di aver compiuto tutto, fino in fondo il mio dovere di soldato, secondo l’imperativo della mia coscienza; la consapevolezza di aver tutto offerto a quell’ideale che sempre per me ha costituito la unica norma di vita; la ferma convinzione di lasciar dietro di me una traccia di pura onestà e di lineare condotta; fanno sì che oggi io possa affrontare la morte con la serenità più grande e lo spirito più alto. In queste ore non posso che sentire il privilegio che mi è concesso poter dare tutto me stesso, fino all’ultima energia vitale alla causa suprema della Patria. Poter a lungo meditare sulla caducità della vita e sulla piccolezza delle cose umane prima di lasciarle per sempre.
A Dio, che dal cielo vede e giudica tutte le miserie della nostra anima, che sa comprenderle e perdonarle, il mio ringraziamento più profondo per la serena fermezza che oggi mi sostiene.
A mio padre, che dall’alto mi guida, la certezza che mai, in nessun caso, suo figlio ha deflettuto da quella linea che lui col suo esempio e il suo sacrificio gli ha voluto indicare.
Alla mia mamma, che consapevolmente lascio nel dolore e nella desolazione, per mantener fede alla mia dignità di uomo e al mio onore di soldato, chiedo perdono, lasciandole la suprema fierezza di aver dato alla Patria il dono più grande.
A Riretta, che amo infinitamente, la custodia della mia memoria e del mio spirito con la precisa consegna di far vivere sempre la mia idea. Che mi perdoni se le ho spezzato per sempre la felicità.
A tutti gli Italiani l’esempio.
Chiedo perdono a tutti coloro ai quali ho involontariamente fatto del male: per conto mio non serbo rancore ad alcuno.
W l’Italia.

S.T. Arrigo Paladini

Roma maggio 1944

Oltre a queste suggestive parole, Paladini nella cella lascia un’altra frase
3 sera Enrico partito per il nord, salvo. Per me vita o morte?”. Si riferisce al capitano Enrico Sorrentino, portato via con un camion, ma che invece non trovò salvezza, egli fu infatti fucilato a La Storta il 4 giugno.
A questa sorte scampò invece Paladini: quello stesso camion che avrebbe dovuto trasportarlo con altri prigionieri si ruppe, costringendo i tedeschi in ritirata a lasciare gli ostaggi nelle celle. Da via Tasso, Paladini uscì vivo. Nel Dopoguerra poi, divenne il primo direttore del Museo della Resistenza, sito negli stessi spazi, un tempo di morte, trasformandoli in luogo di una memoria, certo difficile e scomoda, ma non per questo possibile cancellare.


Esattamente ciò che fa anche il maestro Antonio Vinciguerra, trattare con la memoria, ne è un esempio l’opera che presenta oggi alla città.
Vinciguerra nella sua opera evoca la materia, le pietre e i mattoni che sbarrarono le porte e le finestre, trasformando spazi di vita e di libertà un tempo spensierata in un luogo di morte e di orrore, mentre l’unica materia organica che l’artista rappresenta è un rivolo di sangue, lo stesso che bagnando i mattoni e cementificandoli con il sacrificio ha reso quegli ambienti disperati un patrimonio nazionale.
Come sempre il maestro rifiuta un facile didascalismo, e pare aver fatta propria la grande lezione dei maestri dell’800 come Jacque Louis David e Antonio Canova che, seguendo un vecchio topos rinascimentale, sceglievano di rappresentare narrazioni storiche o del mito optando per la rappresentazione del “momento pregnante”, sottolineando come la rappresentazione di un istante non sia incompatibile con le tracce di un istante già passato. Quello che Antonio eterna è un momento catartico che con forza ed espressività riesce a cogliere il dolore dell’oppressione e della violenza, quanto l’orgoglio per il sangue versato dai nostri eroi.

Jacopo Suggi (Pubblicato su L’Osservatore Livornese, 25 aprile 2023)

Presentazione dell'opera di Antonio Vinciguerra durante la cerimonia del 25 aprile in Piazza del Municipio.
In foto il sindaco di Livorno, Luca Salvetti e l'artista.
Via Tasso di Vinciguerra presentata durante la cerimonia del 25 aprile a Livorno. In foto il sindaco Luca Salvetti, l’artista e Marco Susini.
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